Discorso Vicario Giudiziale TEM – Apertura Anno Giudiziario

Eccellenza Reverendissima, Moderatore del Tribunale,

Eccellenze Reverendissime,

Illustri Autorità Civili e Militari

Sig.ri Giudici,

Sig.ri Avvocati,

Questo breve intervento è volto a presentare il Tribunale Ecclesiastico Metropolitano d’Appello, Moderato da S.E.R. Mons. Arrigo Miglio Arcivescovo di Cagliari e presieduto da chi vi parla in qualità di Vicario Giudiziale.

La brevità è giustificata unicamente dalla giovane età del Tribunale che rappresento.

Esso invero è stato creato con decreto arcivescovile nel giugno del 2017 e ha iniziato ad essere operativo già dal mese di settembre dello stesso anno.

Attualmente risulta composto da un Vicario Giudiziale, un Vicario Giudiziale Aggiunto, tre Giudici stabili, un Difensore del Vincolo e Promotore di Giustizia, un Notaio, oltre che le figure professionali iscritte negli appositi albi, quali avvocati e periti.

Ad oggi pendono presso questo Tribunale quattro cause che provengono tre da una sentenza negativa ed una da una sentenza affermativa di primo grado.

Il Tribunale Ecclesiastico Metropolitano d’Appello nasce dall’esigenza di conformare l’assetto degli uffici giudiziari alla oramai nota riforma del diritto processuale canonico voluta dal Nostro Santo Padre già nello scorso 2015.

Essa, come gli operatori conoscono, sancisce come principio generale, sul solco di principi statuiti già nel Concilio Vaticano II, la prossimità del fedele al proprio giudice, stabilendo così che giudice naturale in ogni diocesi è il Vescovo Diocesano, doverosamente chiamato a costituire un proprio tribunale nonché ad intervenire direttamente nel processo decisorio.

Tale principio trova riscontro non solo nel primo grado di giudizio, attraverso il Processo più Breve che ha visto questo Tribunale soddisfare per la Diocesi di CAGLIARI nel 2017 ben 15 cause (10 terminate con sentenza affermativa, 2 rimandate a processo ordinario e 3 ancora pendenti), ma anche in appello: è invero appena il caso di ricordare che sino a non molto tempo addietro, la geografia giudiziaria indicava la competenza del Vicariato di Roma quale giudice d’appello per la Sardegna, in alternativa alla sola Rota Romana, che rimane pur sempre giudice d’appello qualora la parte voglia espressamente radicare il secondo grado in quella sede.

Tale assetto recava numerosi disagi per il fedele che voleva accostarsi al secondo grado di giudizio, anche e soprattutto per la particolarità geografica del nostro territorio.

Il principio di prossimità, infatti, non è altro che la realizzazione concreta di due realtà: da una parte il maggior diritto per ogni fedele all’accesso alla giustizia e dall’altra il maggior dovere della Chiesa di aprirsi in senso pastorale, oltre che giuridico, alle esigenze di verità che i fedeli rammostrano.

Questa è la vera essenza del messaggio che Francesco ha voluto trasmettere alla Chiesa Universale nel M.P. Mitis Iudex e, ancor prima, nell’ esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che l’autopreservazione” (EG 27).

La conversione pastorale, nella mente di Francesco, esige la riforma delle strutture che devono essere in costante atteggiamento di uscita più che di chiusura.

Una Chiesa aperta al fedele, non abbarbicata all’autopreservazione delle proprie strutture istituzionali.

A questa conversione pastorale così come a questa riforma delle strutture non sfugge l’attività giudiziaria, che oggi possiamo ben definire attività pastorale vera e propria.

Questa attività, invero, incontra nella sua realtà quotidiana donne e uomini spesso segnati, per quanto riguarda soprattutto le vicende matrimoniali, da ferite della vita, dolore per il senso di fallimento che la rottura di un progetto reca con sé: donne e uomini che si accostano alla giustizia ecclesiastica per la maggior parte con un unico scopo, ovvero quello di raggiungere una verità anche giudiziaria che li possa riconciliare con Cristo e con la Chiesa.

In questo senso è doveroso superare la visione dialettica tra giuridico e pastorale, tra processo di nullità e pastorale matrimoniale e ricondurre il tutto ad un’unica dimensione, ovvero quella di Giustizia insita nel mistero di Cristo e della Chiesa Sua Sposa.

Non appaia questa una novità degli ultimi anni proposta da questo Pontefice; già altri suoi predecessori si erano cimentati con questo argomento, a dimostrazione della centralità e della pregnanza del tema. Tra gli ultimi ricordiamo Giovanni Paolo II che, nel suo discorso alla Rota Romana del gennaio del 1990 ebbe, tra le altre cose, a dire che: “La dimensione giuridica e quella pastorale sono inseparabilmente unite nella Chiesa … l’attività giuridico canonica è per sua natura pastorale [giacchè] la vera giustizia nella Chiesa, animata dalla Carità e temperata dall’Equità, merita sempre l’attributo qualificativo di Pastorale”.

In questa collocazione di principi trovano ragion d’essere tutte le riforme di carattere strutturale e tecnicamente giuridiche.

Dal punto di vista strutturale abbiamo già evidenziato la prossimità per il fedele del proprio giudice naturale: se da una parte, infatti, il fedele non sarà più obbligato ad adire in secondo grado un tribunale romano, Vicariato o Rota, dall’altra il Vescovo Diocesano, protagonista di questo nuovo assetto, avrà ancor di più la possibilità di esercitare la propria missio canonica, essendo egli più vicino alle esigenze di quella porzione di Popolo di Dio affidata alle sue cure.

Naturalmente con questo nuovo assetto non si pretende che il Vescovo Diocesano si faccia direttamente carico di tutto l’iter processuale di ogni giudizio: ecco perché nascono i Tribunali Diocesani di primo grado o quelli d’appello come quello che oggi sono chiamato a presentare.

La loro costituzione vuole solamente essere un supporto di competenze giuridiche per il Vescovo, nonché uno stabile organo a cui ogni fedele possa accostarsi.

La loro stabile organizzazione, tuttavia, non deve essere connotata da quella che il nostro Pontefice definisce “autopreservazione” ma, al contrario, deve essere caratterizzata da uno spirito di servizio degli operatori al bene della Verità, dei fedeli, del proprio Vescovo in particolare e della Chiesa Universale in generale.

Per garantire tale realtà c’è bisogno di un dialogo costante tra Moderatore e operatori del proprio tribunale, fiducia reciproca nel pieno rispetto delle proprie funzioni e capacità, non dimenticando che sono anche gli stessi operatori dei tribunali che si fanno spesso quotidianamente interpreti nel loro lavoro della pastoralità della nostra Chiesa.

Nel solco di quanto tracciato, pertanto, presentiamo l’attività del Tribunale Ecclesiastico Metropolitano e d’Appello di Cagliari, rammentando il diritto di ogni fedele, che si senta gravato da una sentenza non conforme a verità, ad adire questo secondo grado di giudizio, senza barriere logistiche o economiche di sorta ma solamente con l’unico scopo che il Diritto Canonico ci ha insegnato, ovvero quello di perseguire la salus animarum.